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11
Oct

GRAVITY

E’ sufficiente che un film sia ambientato nello spazio per definirlo una pellicola di fantascienza?

La domanda è decisamente retorica ma credo che sia necessaria come base di discussione per poter tentare di definire e raccontare Gravity.

Ne ho lette molte in questi giorni su questa pellicola dello stimato regista messicano Alfonso Cuarón. Capolavoro, fantascienza da Oscar, Hard sci-fi…

Ora, non vi voglio raccontare che non si tratta di un bel film perché mentirei, ma Gravity sarebbe stato uno splendido film di fantascienza agli inizi degli anni 70, non oggi.

Oggi è solo una pellicola a metà strada tra la docu-fiction e il film catastrofico. E non venitemi a dire che è fantascientifico lo spunto del satellite russo fuori controllo distrutto dagli stessi sovietici con un missile che provocherà la distruzione di tutto quello che si trova nello spazio, a qualunque altitudine di orbita, a causa dei suoi detriti.


Sono stato “costretto” a vedere il film in 3D, anche perché se ne magnificava l’uso perfetto. In effetti è vero, per una volta il 3D non è invasivo, quindi perfetto, ma anche totalmente inutile, esclusa una breve scena soggettiva dal casco della Dottoressa Stone, che rende davvero bene l’aspetto claustrofobico di un casco spaziale.


Eppure anche queste inquadrature in soggettiva non aggiungono niente di nuovo, cinematograficamente parlando, essendo un linguaggio già sperimentato. Il POV, Point Of View, non è certo una novità, specie nella filmografia per adulti.

Sinceramente ho trovato il film pesante come la gravità del titolo e freddo come lo spazio in cui è ambientato.

Gli attori, che si riducono a due, visto che il resto sono solo voci fuori campo, sono, come sapete, la Bullock e Clooney.

Sandra Bullock regge tutto il film sulle sue spalle, con un’interpretazione matura e convincente, questa sì da premio Oscar.

Clooney è letteralmente insopportabile, monotono e monocorde, forse anche a causa del personaggio, recitato come in uno dei suoi innumerevoli spot (e non so dirvi se è un bene o un male).

La storia ha la giusta tensione, grazie anche all’argomento trattato e allo spazio aperto, che aiuta non poco, ma si appesantisce enormemente quando trascende nel metafisico e si interroga, oziosamente, sul senso della vita.

Non mancano poi, evidenti cadute di stile, come gli scacchi che fluttuano nella navetta russa, e le icone sacre attaccate ai pannelli comandi, o le racchette da ping pong in quella cinese, e la statuetta di Buddha. Facilonerie etniche che ti aspetteresti da uno statunitense e non da un regista centro-americano.

In una frase: bello senz’anima.

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Ultimo aggiornamento Venerdì 11 Ottobre 2013 16:36