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15
Sep

Diabolik, pensieri in libertà sulla pellicola dei Manetti Bros.

Uno dei vantaggi nello scrivere qualche riflessione su un film come Diabolik da parte di chi, saltuariamente e per puro diletto, si cimenta su questo sito è la sicurezza di avere talmente pochi lettori, e nessuno dei soggetti citati, da potersi esprimere senza timori particolari o trovarsi a dover confezionare uno scritto di pura natura promozionale.

Se aggiungiamo che chi scrive non è un appassionato del soggetto, per quanto lo legga spesso con grande piacere, considerandolo una lettura leggera e di grande intrattenimento, spero che le prossime righe possano essere apprezzate semplicemente per quello che sono.

Proviamo a dissipare subito un dubbio. Se pensate che il fumetto al cinema sia solo l’MCU o i tentativi, a volte imbarazzanti, della Warner, bene, lasciate perdere.

Diabolik, opera dei talentuosi fratelli Manetti, dei quali riconosco certamente il grande talento pur non amando particolarmente le loro produzioni, è un film molto, ma molto particolare.

Se dovessi provare a definirlo con una sola sentenza, direi un quadro in movimento, per quanto tale definizione possa sembra contraddittoria in termini.


La pellicola sembra, in molti tratti, voler riportare le tavole sullo schermo, con i tempi e le inquadrature tipiche del fumetto, risultando a volte lenta e quasi statica. C’è una teatralità nei tempi e nei modi che sembra riportare ai vecchi sceneggiati RAI in bianco e nero, non che la cosa, di per se, sia un bene o un male in termini assoluti.


La recitazione, specie nelle scene di gruppo senza gli attori principali o con solo uno di essi, tende invece a prendere una piega quasi televisiva, da opera seriale, a discapito della teatralità di cui sopra.

Prima parlavo di pellicola non a caso perché penso che il film avrebbe giovato, e molto, dalla ripresa su celluloide piuttosto che in digitale, vista l’ambientazione anni 60/70 e la relativa ricerca, molto apprezzabile, di mezzi, forniture e abiti pienamente in stile. Sicuramente si sarebbe ridotta quella sensazione, un po’ spiazzante, da serial TV.

Altra cosa un po’ spiazzante è una certa semplicità realizzativa in alcuni trucchi di scena, tipo alcuni passaggi segreti o lo stacco tra un effetto digitale e uno prostetico che non si comprende se siano voluti, per dare un tocco retrò, o semplicemente figli di un budget non infinito.

Di contro fa davvero piacere trovare uno storico professionista come Sergio Stivaletti coinvolto nella realizzazione delle maschere di Diabolik creando un trait d’union tra la pellicola e il mondo del cinema di genere che ci ha regalato tante opere indimenticabili e piene di sana e geniale inventiva.

Prima di spendere due parole per i tre interpreti principali una lode va sicuramente spesa per la scelta di guidare gli attori su un binario recitativo scevro da inutili fronzoli, giocato amabilmente sulla sottrazione.

Data questa apprezzabile scelta lasciano un po’ basiti i siparietti di alleggerimento, come l’ingresso dell’avvocato d’ufficio nel processo a Diabolik che sembra quello di Savino Lagrasta in Spaghetti a Mezzanotte o i personaggi delle forze di polizia e dei pompieri di Ghenf, con i loro baffoni e le strane pronunce. Sempre che il capo dei pompieri di Ghenf non sia un colto rimando all’ispettore Hans Wilhelm Friederich Kemp, nel qual caso alzo le mani e mi inchino a tanta maestria.

Sempre parlando di citazioni, tento un ardito paragone tra il nome dell’albergo che ospita Lady Kant, chiamato inizialmente Hotel Excelsion salvo scoprire che trattasi del Grand Hotel Excelsior, con il titolo della pellicola di Castellano e Pipolo.

Gli interpreti, partendo doverosamente dal re del brivido. Marinelli, malgrado abbia dei lineamenti fin troppo caratteristici, l’ho trovato bravo e in parte, grazie anche a quel lavoro di sottrazione a cui accennavo in precedenza. Sicuramente un tipo di interpretazione che ho gradito di più di quella dell’osannato, e guai a dubitare che sia un capolavoro, Jeeg Robot.

Purtroppo, per l’annunciato seguito, c’è già un nuovo Diabolik all’orizzonte, col rischio di uno straniante effetto telenovela (qualcuno ricorderà Sentieri, dove una impersonale voce fuoricampo annunciava, come niente fosse, da oggi il ruolo di Tizio è interpretato da…)

A Mastandrea, che reputo, mi perdoni, fuori parte, riconosco uno sforzo interpretativo enorme, pacato, secco, distante anni luce dai suoi personaggi classici che, alla fine, lo rende un onesto Ginko.

Di Miriam Leone che dire? E’ Eva Kant, non ci sono dubbi, è pressoché la perfetta trasposizione del personaggio dalla carta al video. Però, e preferirei bruciare tra le fiamme dell’inferno piuttosto che scrivere una cosa del genere, le manca un po’ di “robustezza” recitativa. A tratti sembra sfuggire con la sguardo alla camera per paura di incrociarla, insomma, qualche peccato di gioventù, nulla che non possa risolversi con ulteriore esperienza, aggiunta a quanta già maturata fino ad oggi, in combinazione con la sua indiscutibile presenza scenica.

Visto che ho citato Spaghetti a Mezzanotte, i più trashofili di voi ricorderanno la presenza nel cast di Teo Teocoli e, se siete veramente amanti dell’orrido, ricorderete anche la parodia di Diabolik interpretata dal nostro nei panni dell’ispettore Ginko, Rinko, per l'esattezza, con Boldi nell’improbabile ruolo del re del brivido ribattezzato, neanche a dirlo, Diaboldik.

Bene, insultatemi pure, ma trovavo, e trovo, Teocoli perfetto per la parte dell’ispettore e sarebbe stato veramente un atto di genio e coraggio da parte dei Manetti quello di chiamarlo ad interpretare il ruolo ingabbiandolo, lui così vivace e sopra le righe, in una recitazione secca e asciutta come quella del resto del cast. Una bella sfida che avrebbe potuto riservare non poche sorprese.

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Ultimo aggiornamento Giovedì 15 Settembre 2022 17:52